Prof. Pio Fedele
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È noto che, non meno degli studi di diritto, ha coltivato con senso profondo di responsabilità l’amore per i valori della famiglia che, come mi consta personalmente, più di una volta l’ha portato alla sofferenza, da lui sopportata con virile rassegnazione e preoccupato di non farla pesare su alcuno, massimamente rispettoso della libertà individuale.
Conseguì prima la laurea in diritto canonico nel 1932 presso l’Apollinare di Roma e l’anno dopo la laurea in giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
La sua particolare propensione per gli studi di diritto canonico e di diritto ecclesiastico fu sollecitata in quegli anni, almeno come causa motiva prossima, dall’interesse che un certo mondo politico dimostrava di avere per la fine delle storiche controversie fra Chiesa e Stato includendo in esse anche, ed anzi principalmente, quelle attinenti al matrimonio ed alla libertà religiosa: che queste materie potessero essere oggetto di compromesso – che sempre presiede allo spirito di qualsiasi concordato – e quindi oggetto di stabili e durevoli norme pattizie, cominciavano ad essere per sé materia di studio ed approfondimento.
L’evento della “Conciliazione” stipulato con i Patti Lateranensi l’11 febbraio 1929 spinse Pio Fedele, quasi come un programma costante della sua vita, a voler veder chiaro, a modo suo, entro la natura e la struttura dell’ordinamento canonico, posto all’occorrenza a confronto con l’ordinamento statuale, per concludere, talvolta anche con l’aiuto dell’insegnamento del Sacro Magistero, che si tratta di due mondi tra di loro inconciliabili per natura, struttura e finalità.
Due Senatori del Regno si erano pronunciati contro la stipula dei Patti Lateranensi, Benedetto Croce e Francesco Ruffini, e verso di loro Pio Fedele ha sempre dimostrato venerazione quasi filiale. E non era difficile comprenderne il perché. Se maestri come Roberto de Ruggiero e Filippo Vassalli valsero a confermargli la naturale propensione che egli aveva per le scienze giuridiche e che già fruttuosamente palesava in studi riguardanti l’aequitas canonica e la rationabilitas legis e che presto lo portarono in cattedra a Urbino per l’anno accademico 1936-1937 per l’insegnamento del diritto ecclesiastico e del diritto internazionale, e nel 1938 fino al 1974 all’Università di Perugia come titolare della cattedra di diritto ecclesiastico e di diritto canonico, l’opera sua fondamentale per la sistematica e l’impianto sul quale poggia il suo pensiero è il “Discorso Generale sull’Ordinamento Canonico” (Padova, Cedam, 1941) – nella quale vengono affrontati temi come l’Ecclesia spiritualis e Ecclesia iuris [o Ecclesia spiritualis o caritatis e l’Ecclesia iuris carnalis], l’aequitas canonica, la salus animarum, bene comune e bene del singolo. La certezza del diritto e l’ordinamento canonico, in seguito ancor meglio sviluppati – alla quale opera fanno seguito, tanto per citarne alcune: “Lo Spirito del Diritto Canonico” (1962), “La Libertà Religiosa” (1963) e “Dante ed il Diritto Canonico” (1966). Da 1974 al 1987 insegnò a Roma nella facoltà di giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” e, come decano, per breve tempo ne fu pro-rettore. Superba, ma sofferta conclusione.
Ben altro ancora, e tanto, si potrebbe dire della copiosa e poderosa produzione scientifica di Pio Fedele,
La scomparsa, per me così inaspettata, del mio vecchio e carissimo amico Igino Napoleoni mi ha profondamente colpito. Eravamo coetanei, essendo egli nato in Genzano di Roma, l’8 febbraio 1911, ed amici fin dai tempi della giovinezza. Egli infatti, dopo il Ginnasio-Liceo classico Mancinelli di Velletri, dove insegnava Filosofia uno dei fratelli Bragaglia, viene a Roma e si iscrive al prestigioso Ateneo di Sant’Apollinare ed è qua che ci siamo conosciuti e abbiamo frequentato insieme le lezioni di Mons. Alberto Canestri, di Mons. Amleto Cicognani, di Mons. Giambattista Montini, che insegnava diplomazia pontificia e con il quale Igino sostenne un brillante esame e di tanti altri. In questo Ateneo abbiamo avuto tanti amici in comune che poi hanno occupato posti eminenti nella Curia Romana.
Igino si laurea in diritto canonico nel 1936 con una tesi sulla Alienazione dei beni temporali delle Chiesa. La sua preparazione giuridica e canonistica era ottima, anche se per la sua innata modestia, non ha quasi mai voluto esibirla in scritti vari.
Contemporaneamente all’Ateneo di Sant’Apollinare frequenta lo Studio della Rota Romana e diventa Avvocato Rotale nel 1937. Ma la sua vera preparazione alla professione avviene nel prestigioso Studio dell’Avv. G.B. Ferrata, dove fa pratica e quindi diviene per lunghi anni assiduo ed appassionato collaboratore. Igino mi aveva raccontato varie volte il metodo di lavoro che aveva con l’Avv. Ferrata e cioè che dopo aver discusso a lungo una Causa, insieme estendevano il Restrictus e dunque il lavoro dello Studio era senz’altro frutto della collaborazione di entrambi.
Ma oltre alla professione di avvocato del Foro ecclesiastico, la sua figura si è identificata per lunghi anni con l’Arcisodalizio della Curia Romana, di cui è stato segretario e membro del Consiglio direttivo, dedicandosi a questo lavoro con abnegazione, perseveranza e generosità.
È nota la sua difesa gratuita durata quaranta anni di un dipendente dell’Arcivescovado di Innsbruck e quindi dei suoi eredi, contro l’Arcivescovo della stessa città.
Aveva il gusto delle cause che portavano il fascino della storia e di tempi lontani. Famoso è infatti il suo patrocinio dei principi B. per il baliaggio dell’Ordine di Malta ed ancora il suo intervento nella Causa tra il principe A. M. e l’Ordine di Malta.
Ma la cosa che più mi è cara e vicina nel ricordo di Igino Napoleoni è il lungo periodo nel quale è stato segretario della mia Rivista «Ephemerides Iuris Canonici», aiutandomi tanto nella preparazione dei fascicoli e quindi nella revisione delle prove di stampa. La Rivista «Ephemerides Iuris Canonici» ha cessato le sue pubblicazioni, che spero possano riprendere, in concomitanza con la morte di Igino.
Ma Igino Napoleoni non è stato solo canonista e Avvocato della Sacra Rota, ma uomo di varia cultura ed inaspettati ma intensi interessi.
Da giovane aveva allacciato amicizie con il mondo dello spettacolo ed era stato amico del commediografo Nicola Manzari, anche egli dottore in diritto canonico, ed insieme nel primo dopoguerra avevano avuto in gestione il Teatro delle Arti, in cui lavorava Dina Galli, ed ancora avevano avuto insieme una piccola casa editrice teatrale, che tra l’altro, aveva pubblicato la prima edizione italiana dell’allora famosa commedia di Torton Wilder Piccola città.
Aveva una profonda conoscenza dell’opera di Gioacchino Belli, del quale sovente recitava a memoria dei sonetti, e qualche anno fa avevamo pensato di pubblicare e commentare nella mia Rivista alcuni di quei sonetti che avevano attinenza al diritto canonico. Il suo interesse per la poesia in vernacolo era nato forse ai tempi della sua amicizia giovanile con Mario Dell’Arco, ultimo grande poeta romanesco con lo pseudonimo di Mario Fagiolo.
Lungo sarebbe l’elenco degli artisti e letterati da lui frequentati, ma voglio citare la sua amicizia con il pittore Giuseppe Canali, anche egli interessato al teatro, con il critico musicale Mario Rinaldi e la lunga consuetudine con le sorelle Giuliani che dirigevano la omonima vetreria artistica, autrici di famose vetrate di chiese.
Ma la vera grande passione di Igino era la musica e questo era il campo nel quale eccelleva. Aveva studiato seriamente e profondamente da giovane con il maestro Lupi e con il maestro Antolisei. Era un musicologo di grande valore e completo e pochi conoscevano questo lato della sua cultura e della sua vita, forse appunto per la sua modestia, ma sapeva veramente tutto e ad altissimo livello. Ed era molto aperto nei suoi gusti perché, pur amando in modo particolare Mozart e il settecento in genere, e poi Ravel e Richard Strauss per l’ottocento, apprezzava tutto, dal gregoriano al jazz. Anche in questo campo i ricordi vanno molto indietro nel tempo, e cioè abbiamo sentito insieme le opere di Perosi, dirette dal vecchio maestro, all’Augusteo, la famosa sala di concerti sopra la tomba di Augusto, prima che Mussolini la facesse demolire per glorificare la romanità. Ed essendo anche io appassionato di musica, ma meno esperto di lui, spesso prima di un concerto, gli telefonavo per prendere ragguagli.
Devo ancora completare questo ricordo parlando con commozione delle sue doti umane oltre che intellettuali, e cioè la sua grande bontà, pazienza, calma e moderazione e voglio anche ricordare la forza d’animo con la quale ha affrontato la malattia della moglie, esperta perita calligrafa, morta prematuramente e la conseguente solitudine, sia pure mitigata dalla presenza dell’ottimo figlio Francesco.
Sebastiano Villeggiante